Il re d'inverno by Bernard Cornwell

Il re d'inverno by Bernard Cornwell

autore:Bernard Cornwell [Cornwell, Bernard]
La lingua: ita
Format: epub, azw3, mobi
pubblicato: 2011-12-15T07:34:57+00:00


11

I bardi cantano amori, celebrano massacri, glorificano sovrani, adulano regine; ma io, se fossi un poeta, esalterei l’amicizia.

Ho avuto la fortuna di trovare veri amici. Artù fu uno di loro, ma Galahad fu il più grande di tutti. Ci bastava un’occhiata, per capirci. Divideva-mo tutto, tranne le donne. Non so quante volte fummo spalla a spalla nel muro di scudi, quante volte facemmo a metà dell’ultimo boccone. La gente ci prendeva per fratelli: eravamo come fratelli.

E quella sera di sventure, mentre più in basso la città si consumava nelle fiamme, Galahad capì con un solo sguardo che nessuno sarebbe riuscito a portarmi alla barca in attesa. Capì che dovevo rispettare un impegno, che un messaggio degli dèi mi spingeva in una corsa disperata verso il tranquillo palazzo sovrastante l’Isola di Trebes.

Tutt’intorno a noi, come un fiume straripato, l’orrore inghiottiva la montagna. Ma noi ci tenevamo sempre un passo avanti, in quella corsa affan-nosa su per il tetto di un edificio, giù in un vicolo tra la folla convinta di trovare salvezza nella chiesa, su per una rampa di gradini di pietra, poi nella grande strada che girava intorno a Trebes.

Gli invasori franchi correvano verso di noi, per giungere primi nel palazzo di Ban. Con un gruppetto di scampati al massacro della città bassa li precedemmo e cercammo disperato rifugio nella dimora reale.

«Le guardie non ci sono» disse Galahad.

Le porte erano spalancate, donne e bambini piangevano, rannicchiati fra i magnifici arredi, in attesa dei conquistatori. Il vento agitava i tendaggi.

Mi lanciai di corsa nelle splendide stanze, nella sala degli specchi, passai davanti all’arpa abbandonata di Leanor e giunsi nel salone dove pochi giorni prima re Ban mi aveva ricevuto. Il sovrano era ancora lì, in toga, seduto al tavolo, con la penna d’oca fra le dita.

«Troppo tardi» disse, mentre irrompevo nella sala con la spada in pugno.

«Artù ha mancato alla parola.»

Alte grida risuonarono nei corridoi. Dalla finestra ad arco si vedeva solo fumo.

«Vieni con noi, padre!» supplicò Galahad.

«Ho ancora del lavoro» si lamentò Ban. Tuffò nel calamaio di corno la punta della penna e cominciò a scrivere. «Non vedi che sono occupato?»

Spalancai la porta interna, attraversai l’anticamera vuota e nella biblioteca trovai Celwin, il prete gobbo, davanti a uno scaffale di pergamene. Il lucido pavimento era ingombro di manoscritti.

«Sono responsabile della tua vita!» gridai con rabbia, irritato perché mi era stato imposto di badare a quel brutto vecchiaccio mentre nella città c’erano tante altre vite da salvare. «Vieni con me. Subito!»

Il gobbo non mi badò. Toglieva dagli scaffali un rotolo dopo l’altro, strappava il nastro, spezzava il sigillo, dava un’occhiata alle prime righe, gettava via il manoscritto e ne prendeva un altro.

«Su, vieni!» ringhiai.

«Un momento!» protestò Celwin. Prese un altro rotolo, lo buttò da una parte, ne aprì ancora uno. «Non ho finito!»

Nel palazzo risuonò uno schianto, poi un grido di trionfo che si confuse con le urla. Galahad, sulla soglia dell’anticamera, supplicava il padre di venire via con noi; Ban si limitò a un gesto di stizza, come se fosse seccato dall’insistenza del figlio.



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